L’attore di Cinema e il problema della finzione
Questo è un problema facile da capire in superficie, meno facile da capire a fondo, difficile da risolvere completamente.
Come dico sempre la questione nel Cinema non è far capire ma far credere. Ed essendo il cinema un racconto, una finzione, un gioco anche, far credere è la vita.
L’attore di Cinema ha come obiettivo principale il raccontare una storia in modo tale da far credere allo spettatore che lui (l’attore) la stia vivendo in quel momento. La stia raccontando mentre la vive. E in un attimo, quando l’attore adempie al suo dovere, lo spettatore è tirato dentro a tal punto che crede di starla vivendo lui, al posto dell’attore. Una sorta di transfert…
E fin qui, più o meno lo capiamo tutti.
Bene, questa cosa così apparentemente comprensibile, nasconde molte insidie per l’attore.
Sul set i pugni non fanno male, il proiettili non esistono, i soldi sono carta straccia, la cocaina borotalco, il whiskey tè; il sangue non è sangue, i morti non sono morti, e l’amore, l’amore! Non è mai amore.
Di nuovo, facile per lo spettatore! Lo sa e se lo dimentica subito, ma per l’attore far credere sempre il contrario di quello che lui sta realmente vivendo sul set è molto, molto meno facile.
Anche perché non c’è tregua. E l’insidia peggiore di tutte è la banalizzazione, il cadere in gesti stereotipati, il pensare per luoghi comuni. E queste sono trappole in cui tutti gli attori cadono, sempre, o comunque sono sempre lì a un passo, un centimetro ad un secondo! Lì lì per caderci, nessuno immune.
Quindi deve affinare i sensi, anticipare le trappole. Trasformare questa sensibilità in tecnica ed esercitarla.
Io nel mio metodo consiglio e spiego la tecnica delle due storie, la storia interna e la storia esterna.
La storia esterna è quella che lo spettatore vive, quella che sta scritta nella descrizione del film.
La storia interna è la salvezza dell’attore da un lato, e dall’altro è il suo momento creativo, la sua opportunità di essere artista, di fornire cioè, la propria individuale interpretazione della realtà.
Ma procediamo per gradi.
Innanzi tutto come la storia interna risolve la caduta nelle trappole di cui sopra. Distraendo l’attore, facendolo scartare di lato. L’attore esce di scena, si estranea, vive un’altra storia, trascende il momento, il set, il costume, il trucco e soprattutto, soprattutto il personaggio!
Il corpo asseconda la scena, la lingua asseconda il copione, ma il suo interno è lontano, sta vivendo tutt’altro.
E cosa rimane allo spettatore? Rimane la tela bianca su cui si racconta la propria storia. Una tela che è bianca sì, ma allo stesso tempo ha un odore, un sapore che altro non è che l’eco della storia interna dell’attore.
Non avete capito niente? Immaginavo.
Ma non lo dovete capire, ve l’ho detto all’inizio, lo dovete solo credere!
A presto
ClaudioVita
Ps
A breve pubblicheremo un paio video sul canale youtube in cui affronto lo stesso tema con esempi di scene da film… tanto per agitare ulteriormente le acque!